COME INIZIARONO
GLI INCIDENTI
C’era in quei
giorni molto fermento nell’aria: da
diverse settimane le uniche notizie
che ricevevamo sull'agitazione – io
mi trovavo ai Caraibi, sulla
motonave Megara - provenivano
tramite la corrispondenza dei
familiari o ci giungevano via radio
dai colleghi imbarcati dall’Italia.
I notiziari ANSA irradiavano solo
poche scarne notizie, che nulla
dicevano sulla reale situazione.
Avevamo la sensazione che le notizie
fossero manipolate e, purtroppo, il
tempo avrebbe confermato quelle
nostre impressioni. Sembrava
d’essere in tempo di guerra, quando
l’unica protagonista era la censura
sulla corrispondenza.
Tutti tentavano
di minimizzare tutto.
Le società
armatrici, per forzare la mano agli
equipaggi e accelerare la fine dello
sciopero, diedero precise
disposizioni ai comandi di bordo di
chiudere le cucine e alle agenzie
locali di non dare alcuna assistenza
tecnica e materiale. Le maestranze
mancavano quindi di viveri ed erano
state lasciate senza alcuna forma di
assistenza e senza notizie dalle
famiglie. Pare che alcune società di
navigazione avessero sospeso, in
quei giorni, anche i versamenti dei
contributi previdenziali all’INPS.
Per prevenire simili forme di
sciopero, poi, le società del gruppo
PIN (Preminente Interesse Nazionale)
negli anni successivi imbarcarono
come passeggeri alcune figure
professionali, come i
radiotelegrafisti, da utilizzare
nell’evenienza.
All’epoca dei
fatti Torre del Greco era una
ridente, tranquilla, addirittura
sonnacchiosa cittadina vesuviana,
dove fino a quei giorni non era mai
successo nulla di rilevante, a parte
il bombardamento degli americani del
13 settembre 1943, l’eruzione
del Vesuvio nella primavera del 1944
e l’affondamento dell'Andrea Doria
il 26 luglio 1956. Oltre alle feste
patronali, ovviamente.
La popolazione
maschile era costituita per la
maggior parte di lavoratori
marittimi; gli altri erano dediti ad
altre attività pur sempre collegate
al mare, come la pesca e la
lavorazione del corallo, il
commercio delle perle, la
cantieristica navale.
In seguito al
prolungarsi dello sciopero a Torre
del Greco si era formato un comitato
di agitazione composto da marittimi
e sindacalisti. Questo comitato,
durante un incontro con l’allora
Sindaco Raffaele Capano, chiese
aiuto all’amministrazione comunale
per trovare una soluzione che
sbloccasse l’irrigidimento delle
parti e ponesse fine alle tantissime
difficoltà in cui versavano i
marittimi in sciopero, specialmente
quelli all’estero.
In questa ottica
furono preparati congiuntamente
alcuni telegrammi che vennero
inviati al Ministero della Marina
Mercantile e al Governo affinché
dessero disposizioni ai nostri
Consolati di prendere gli opportuni
provvedimenti per alleviare il
disagio degli equipaggi. In quella
riunione fu anche concordato di
proclamare uno sciopero cittadino
per sensibilizzare i commercianti
torresi e l’opinione pubblica.
Gli incidenti
iniziarono nell’ultimo tratto di Via
Diego Colamarino, in prossimità di
Piazza Santa Croce.
Molto
probabilmente non sapremo mai la
verità su chi innescò la scintilla,
ma la versione più accreditata
racconta che gli incidenti
iniziarono quando le forze
dell'ordine che affiancavano il
corteo spinsero con veemenza un
manifestante claudicante munito di
stampella, forse perché era anche il
più ribelle del gruppo.
Quest'ultimo, vistosi spintonato in
malo modo, reagì in maniera analoga
e venne alle mani con l'agente
autore dello spintone. Infine, forse
memore di qualche vecchia
reminiscenza scolastica, utilizzò
anche la stampella, tanto per
intenderci, alla Enrico Toti. Le
forze dell'ordine caricarono di
conseguenza i dimostranti i quali
reagirono in maniera altrettanto
ferma e determinata e, essendo anche
più numerosi, vinsero il primo
round.
Un'altra versione
è la seguente: era abitudine dei
manifestanti circondarsi di donne e
bambini, perché rappresentavano gli
assenti, perché difendevano gli
interessi di coloro che erano in
mare e che nessun altro poteva
difendere. Probabilmente c'era anche
l'intenzione di creare una sorta di
cuscinetto ammortizzatore tra i
manifestanti e le forze dell'ordine.
Anche quella volta tale prassi venne
rispettata, e il nucleo duro dei
manifestanti era circondato da donne
e bambini, mogli, madri, sorelle e
figli degli assenti. Senza dubbio
tra i manifestanti vi erano anche
tanti curiosi che nulla avevano a
che fare con il mare e i suoi
problemi e, secondo una fonte bene
informata, anche molti provocatori,
tutti elementi di estrema sinistra
provenienti da altri paesi
vesuviani. Un cordone di poliziotti,
carabinieri e vigili urbani
affiancava i dimostranti. Tra questi
i ragazzi erano naturalmente i più
vivaci, e da questo gruppo
partì un insulto (forse anche uno
sputo) verso un vigile urbano che
reagì spintonando il ragazzo. Non
l'avesse mai fatto; a Napoli, si sa,
i figli so’ piezze e’ core.
Davanti al
sagrato della Chiesa di San Michele,
in Via Diego Colamarino, stazionava
un gruppo di poliziotti della
Celere, al comando di un commissario
torrese, mentre un altro gruppo di
celerini stazionava al termine di
Via Venerabile Vincenzo Romano. I
due gruppi intervennero
immediatamente accerchiando il
corteo e manganellando i
dimostranti.
Questi ultimi
reagirono rabbiosamente, usando i
pali utilizzati per gli addobbi
della Festa dei Quattro Altari
appena terminata a mo' di arieti e
randelli, ma la polizia alzò il
livello dello scontro rispondendo
con i gas lacrimogeni. Alcuni
giornalisti scrissero anche di colpi
d'arma da fuoco sparati ad altezza
d'uomo, e alcune foto d'epoca
sembrerebbero confermarlo. Qualche
anziano conoscente mi ha confermato
che bossoli delle armi utilizzate
dalla polizia furono trovati
conficcati negli alberi che
circondavano la piazza.
I manifestanti
diedero fuoco alle camionette della
polizia e dei vigili del fuoco che
erano accorsi a dare man forte, e a
quel punto la ragione e il buon
senso di entrambe le parti andarono
a farsi benedire. Dovette
intervenire la questura di Napoli
con decine di camionette ed altri
agenti reclutati in tutta fretta nel
circondario per imporre alla
sonnacchiosa cittadina vesuviana ed
ai suoi abitanti lo stato d'assedio.
Mentre nell’aria
incombeva un’intensa ed acre nuvola
nera che attanagliava la gola, molti
nostri concittadini assistettero
impotenti e impauriti nel vedere
numerosi feriti trasportati
all’ospedale Maresca, all’epoca
ubicato nella villa comunale, sui
carrettini dei fruttivendoli.
Alcuni
manifestanti furono arrestati
immediatamente.
Nei giorni
successivi ai disordini furono
arrestati anche i componenti della
commissione che si era recata dal
sindaco Capano.
Successivamente,
mediante lo studio delle foto
pubblicate sui giornali e di altre
scattate dalla stessa polizia,
nonché dai racconti di un pentito
ante litteram, furono effettuati,
tra i manifestanti, ulteriori e
innumerevoli fermi; molti dei
fermati furono in seguito
incarcerati e restarono dentro per
diversi mesi in attesa dei processi.
Molte persone,
più o meno sindacalmente
corresponsabili, ma anche chi
nell’occasione fu semplice
spettatore, per evitare di essere
arrestati scapparono via da Torre
del Greco rifugiandosi presso
famiglie amiche nelle vicine
campagne.
Gli strascichi
giudiziari di quella giornata
durarono diversi anni.
Dopo
cinquant’anni dagli incidenti,
possiamo dire senza timore di essere
smentiti, che il 29 giugno del 1959
fu un giorno di follia collettiva.
La mia opinione è
che gli organizzatori della
manifestazione non si resero conto
della effettiva e incontrollabile
forza di una folla esasperata, mal
guidata e senza un efficace servizio
d’ordine interno. Da notare che uno
dei maggiori responsabili del
comparto sindacale marittimi era
addirittura fuori Torre del Greco,
in missione.
Ma anche le forze
dell’ordine - l'eco
della mano del
ministro Tambroni
era ancora forte,
evidentemente -
eccedettero
nell’interpretazione
del loro ruolo
TORNA INDIETRO
|