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MARITTIMI
La rivolta
dei marittimi
torresi del 30
giugno 1959
Di Antonio
Abbagnano
Da alcuni
mesi era in corso
uno sciopero
nazionale dei
marittimi e le
famiglie che avevano
congiunti imbarcati
pativano gravi
conseguenze
economiche, non
ricevendo soldi da
mesi, e affettive.
Erano preoccupate
per i loro familiari
bloccati sulle navi
all’estero che da
tempo non ricevevano
più alcuna
assistenza né dalle
Compagnie di
Navigazione né dai
Consolati. Con
cablogrammi inviati
dai marconisti delle
navi, le famiglie
erano informate dai
marittimi dei
pericoli e degli
stenti che pativano,
della volontà di
resistere ma anche
della voglia di
tornare a casa.
Erano in sciopero e
prigionieri di
queste navi,perché
le autorità estere
dove erano
attraccate non
consentivano ad
alcuno di scendere a
terra, nemmeno per
comprare provviste
alimentari. Chi
riceveva queste
notizie, informava
le famiglie degli
altri marittimi
bloccati e
capannelli di
persone
incominciarono a
formarsi nelle
strade; agitate
delegazioni si
recarono dal sindaco
supplicandolo o, a
volte a muso duro,
intimandogli di
intervenire presso i
rappresentanti del
Governo per
sbloccare la
vertenza. Il
nervosismo aumentava
col passar dei
giorni e la faccenda
sembrava sfuggire di
mano a tutti.
Il 10 giugno nel
porto di NewYork si
fermarono la Mn Giulio Cesare con 1175
passeggeri a bordo e
la Vulcania
con oltre 600
persone. A Dakar,
erano bloccate in
rada il Conte
Biancamano e il
Conte Grande, la Neptunia era ferma a
Melbourne ed il
Marco Polo nel
Canale di Panama. I
marittimi aderenti
al blocco delle navi
all’estero furono
denunciati per
ammutinamento. Il 12
giugno1959 in
Italia, furono
bloccati i
collegamenti con le
isole; il giorno
dopo la Società di Navigazione
Costa effettuò a
Genova lo sbarco
coattivo dei
marittimi dalla Mn.
Federico Costa con
un duro ed
autoritario
intervento della
celere. Il 13 giugno
tra risse e minacce
la Mn Roma
della Flotta Lauro
riuscì a salpare dal
porto di Napoli
mentre a Genova la
partenza per NewYork
della Cristoforo
Colombo fu bloccata
e anche
quest’equipaggio
denunciato per
ammutinamento.
Presidente del
Consiglio dei
Ministri era
l’Onorevole Antonio
Segni e Ministro
della Marina
Mercantile era
l’Onorevole
Jervolino,padre
della futura
parlamentare e
Sindaco di Napoli,
che si accordò con
la Società
di Navigazione
Francese Chargeurs
Reunis per far
dirottare il
transatlantico
Lumiére a Dakar e
prelevare i
passeggeri del Conte
Biancamano e del
Conte Grande. Si
accordò poi con
l’Alitalia per un
ponte aereo per il
rimpatrio dei
passeggeri rimasti
bloccati sulle altre
navi e requisì
militarmente i
traghetti della
Tirrenia per il
collegamento con le
isole; di assistenza
per i marittimi
sulle navi non se ne
interessò nessuno.
In risposta il
sindacato Film che
gestiva la vertenza,
proclamò uno
sciopero generale di
48 ore mentre il
porto di Napoli fu
chiuso al traffico
marittimo perché
intasato da ogni
tipo di navi e da
Genova,
La Spezia,
Livorno e da
Molfetta arrivarono
le prime notizie di
durissimi scontri
con la polizia. Il
trenta giugno il
Consiglio Comunale
cittadino affisse un
manifesto di
solidarietà per i
lavoratori in lotta
e i familiari dei
marittimi si
radunarono in
piccoli gruppi per
leggerlo e
commentarlo ad alta
voce, mentre nella
sede della Camera
del Lavoro
affluirono i vertici
sindacali nazionali
e gli On. Valenzi e
Viviani. Allertata
da questi movimenti, la Questura di Napoli e il
Comando dei
Carabinieri
inviarono ingenti
forze per prevenire
disordini. Quando
verso mezzogiorno da
Piazza Santa Croce
si udirono dei colpi
di mitra gran parte
della popolazione
lasciò le case e si
portò verso la Piazza. Una rabbia
incontenibile
serpeggiava in tutti
quanti che si
sentirono traditi
dalle autorità e dal
governo. Una
violenta carica dei
Carabinieri con
lanci di bombe
lacrimogene e
utilizzo di idranti
non riuscì a
spaventarli e furono
ingaggiati furenti
corpo a corpo. Dai
lastrici dei palazzi
la gente cominciò ad
aiutare i
dimostranti in lotta
calando giù con
panieri ogni corpo
contundente
reperibile, pezzi
d’asfalto, sassi,
bastoni,bottiglie di
vetro. Se poi le
forze dell’ordine
avanzavano fin sotto
i palazzi, su di
loro erano scagliate
sedie, mobili,
divani e perfino
reti di letti. Una
popolana si portò in
strada incitando
tutti a scendere e
di partecipare alla
rivolta. Dai
palazzi, dalle case,
da ogni vicolo
scesero migliaia di
persone che si
unirono agli altri
dimostranti,
formando una marea
umana inarrestabile.
Appena le forze
dell’ordine sotto
l’attacco dei
manifestanti e il
lancio incessante di
oggetti
incominciarono a
ritirarsi, la folla
furiosa staccò i
pali delle luminarie
della Festa dei
Quattro Altari,
finita appena due
giorni prima e partì
all’attacco,
rovesciando e
incendiando ogni
cosa che trovava al
suo passaggio.
Camionette e idranti
della Celere e dei
Carabinieri furono
rovesciati e
incendiati e i
Carabinieri, che
avevano assunto il
comando militare
della situazione,
prudentemente si
ritirarono nella
loro caserma al
Largo
Costantinopoli.
Vista la piazza
sgombra, la folla
costruì barricate
per meglio
difendersi da
ulteriori attacchi
ed una delegazione
decise di andare a
parlare a casa del
Sindaco Raffaele
Capano, che non poté
riceverli perché
ammalato. Infuriati
ancora di
più,tentarono
l’assalto alla
caserma dei
carabinieri,ma i
militari, con
sventagliate di
mitra verso l’alto e
sparando bombe
lacrimogene ad
altezza d’uomo,
riuscirono a
respingere la folla.
I rivoltosi,
avvertiti che nuovi
rinforzi stavano
accorrendo, si
precipitarono a
bloccare le strade
d’accesso alla
città, dando fuoco
alle barricate fatte
con le luminarie, i
pali della luce e
gli automezzi
capovolti e quando,
prima dei rinforzi
militari, giunsero
da Napoli i Vigili
del Fuoco, furono
anch’essi malmenati
e i loro mezzi
incendiati e
accatastati a
rinforzare le
barricate.
I rinforzi
giunti con carri
armati e autoblindo
cariche di soldati
in assetto di
guerra, non poterono
entrare in città e
dovettero rimanere
ai confini della
zona degli scontri e
si accamparono in
attesa di ordini,
nei grandi cortili
della scuola
elementare Giovanni
Mazza. Alla vista
dei carri armati e
dei nuovi rinforzi,
la gente fu presa da
una nuova furia
collettiva ed
incominciò a
distruggere tutto
ciò che trovava
davanti, attaccando
assurdamente anche
il Comando dei
concittadini Vigili
Urbani. Verso sera
le cose sembrarono
calmarsi e la gente
ritornò verso casa
ed allora le
autorità militari
incominciarono una
retata casa per
casa, effettuando
circa sessanta
arresti, tra cui
ragazzi dai tredici
ai sedici anni, che
furono ammanettati e
portati direttamente
al carcere di
Poggioreale per
essere processati
per direttissima.
Questo episodio
riportò nuovamente
la gente in strada,
decisa a ritentare
l’assalto alla
caserma, ma i più
facinorosi furono
convinti a desistere
da politici e
sindacalisti giunti
da Roma e riuniti
nella sede della
Camera del Lavoro.
Fu formata una
Commissione di
parlamentari
composta dagli On.
Colasanto, Armato,
Caprara e
Napolitano, dal sen.
Palermo e dall’ex
sindaco Coscia e
dall’On. Mazza, in
rappresentanza del
sindaco ammalato,
per patteggiare coi
carabinieri il
rilascio degli
arrestati. Quando
questa Commissione a
notte fonda uscì
dalla caserma e la
gente capì che non
aveva ottenuto la
scarcerazione dei
dimostranti
arrestati, fu
anch’essa assalita e
l’ex sindaco Coscia
ferito alla testa.
Durante la notte,
bande di agitatori e
di delinquenti
abituali venuti da
fuori, guidati da un
criminale in
carrozzella da
handicappato,assaltarono
i pochi bar e le
farmacie rimasti
aperti e rubarono
nelle case. La
mattina dopo la
città si svegliò
militarmente
occupata e rimase
per giorni sotto
coprifuoco coi i
negozi, escluse le
farmacie, chiusi,
finché la vertenza
non fu avviata a
soluzione e gli
animi calmati.
Questa rivolta, cui
parteciparono più di
seimila persone,
ebbe un’eco
grandissima sui
mezzi d’informazione
e nell’opinione
pubblica nazionale
ed il Governo fu
costretto ad imporre
alle parti la
risoluzione di
questa vertenza e si
fece autorevole
intermediario,
evitando così che lo
sciopero sfociasse
in qualcosa di molto
più serio e grave.
La controversia fu
discussa e risolta
nelle sedi
governative con
scontri verbali ed
anche fisici tra i
diversi gruppi
politici e con la
determinante
mediazione del
Sottosegretario alla
Presidenza del
Consiglio On.
Crescenzo Mazza. Il
10 luglio 1959 si
giunse finalmente ad
un accordo con un
aumento delle
retribuzioni del 9%
ai marittimi, del 5%
agli ufficiali, più
altre varie
indennità. Ci furono
65 feriti fra le
forze dell’ordine,
tra cui un
carabiniere colpito
da un proiettile di
arma da fuoco e più
di 300 feriti fra i
dimostranti. Tratto
da “Comete di carta
colorata”
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