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PIRATERIA SOMALA: IL DRAMMA E L'ORRORE DELLA PRIGIONIA DEI MARITTIMI  CATTURATI

 

Chi resta a casa vive un inferno. I parenti sperano solo di poter riabbracciare i loro cari in qualsiasi condizione, purchè vivi.

Quando i familiari dei marittimi ostaggi dei pirati Somali possono sperare di rivedere sani e salvi i loro cari? Una domanda difficile, che molte, tante ragioni, impediscono di dare una risposta sincera. Secondo una stima dell'International Maritime Board Piracy Reporting Centre, i predoni del mare somali attualmente trattengono in ostaggio almeno 26 navi e oltre 5oo marittimi di diverse nazionalità. Difficile però, dire con certezza quanti in realtà siano i marittimi ostaggi dei predoni del mare. Di certo però, solo il 6 per cento di essi provengono da Paesi OCSE, gli altri da Paesi in via di sviluppo come India, Ghana, Sudan, Pakistan, Filippine e Yemen. Questi uomini sono, per i moderni filibustieri, oltre che una fonte di guadagno, anche una garanzia di incolumità. I marittimi-ostaggi vengono infatti, utilizzati anche come scudi umani contro ogni eventualità come un blitz militare per cercare di liberarli.

Per cui è nell’interesse dei loro carcerieri mantenerli in salute e in vita.

Però, a volte questo non basta a rendere la prigionia meno dura, e in alcuni casi si può registrare anche la morte dell’ostaggio. Si fanno sempre più numerose le testimonianze di angherie e torture a cui gli ostaggi sono sottoposti da parte dei loro sequestratori. Una recente è quella fatta da uno dei marittimi della MV SUEZ rientrato a casa lo scorso 23 giugno. Il marinaio ha raccontato della morte di uno dei membri dell’equipaggio della MV ICEBERG 1.

Si tratta di una nave che è stata catturata dai pirati somali il 29 marzo del 2010. L’imbarcazione, battente bandiera di Panama, è di proprietà della compagnia marittima la ‘Iceberg International LTD’. Il mercantile insieme ad un equipaggio di 25 marittimi provenienti da Yemen, India, Ghana, Sudan, Pakistan e Filippine, venne catturata mentre era diretto a Jebel Ali, negli Emirati Arabi Uniti, con un carico misto di attrezzature meccaniche. Secondo le notizie che si conoscono sono due i marinai della ICEBERG 1 che sono morti nel corso di un anno e tre mesi di prigionia. I due non avrebbero superato la dura prigionia a cui, a quanto pare, la gang del mare, che li trattiene in Somalia, li sottopone. Si tratta di due dei marittimi di nazionalità yemenita: il terzo ufficiale, Mate Wagdi Akram e l'ingegnere capo, Mohamed Abdalla Ali Kham.

Proprio di quest’ultimo è la morte riferita dal marittimo indiano della SUEZ. L’ingegnere sarebbe morto in seguito alle ferite provocategli dai colpi ricevuti dai pirati. Sempre secondo quanto raccontato i loro corpi sono stati poi, gettati dai pirati nel freezer della nave. Un fatto questo che ha portato gli altri membri dell’equipaggio della nave a chiedersi se riusciranno o meno a sopravvivere alla loro prigionia. A casa, ad attenderli, i loro familiari nei cui animi ogni giorno diventa sempre più forte la rabbia e cresce la sensazione di impotenza per non poter far nulla per loro. Chi resta a casa vive un inferno. Essi sperano solo di poter riabbracciare i loro cari in qualsiasi condizioni, purchè vivi. Il ritorno di quelli della SUEZ ha fatto tornare la forza di sperare, specie in India. Un ritorno avvenuto a circa un anno dalla loro cattura, agosto 2010. L’equipaggio della mercantile è stato rilasciato dopo che il 14 giugno scorso è stato pagato un riscatto di 2,1 mln di dollari.

Tra loro sei marittimi di nazionalità indiana, parte dei membri dell’equipaggio della nave. In India il loro rientro a casa ha assunto un valore particolare in quanto sono circa 50 i marittimi indiani prigionieri in Somalia. Si tratta dei marittimi parte dell’equipaggio di quattro navi catturate: MV Iceberg, 6, MT Asfalto Venture, 7, MT Savina Caylyn, 17, e MV Sinin. Queste navi, come sempre accade, dopo essere state catturate in pieno Oceano Indiano sono poi, state dirottate verso le coste somale del Puntland dove sono ora alla fonda di fronte ai covi pirati di Hobiyo, Kaduur e Grisby. Le trattative sarebbero in corso, ma tra i pirati somali e le compagnie marittime proprietarie di questa nave. Il governo indiano invece, si è sempre detto contrario a negoziati con i predoni del mare somali in quanto ritiene che ciò incoraggerebbe la pirateria marittima. In virtù di questa convinzione negli ultimi mesi aveva invece, attuato una dura azione di contrasto al brigantaggio marittimo in atto al largo della Somalia raggiungendo anche ottimi risultati. Però, di recente ha attuato un cambio di politica nelle sue operazioni anti-pirateria riducendole al minimo. Un passo indietro questo, di certo compiuto dal governo di New Delhi per tutelare i suoi connazionali, lavoratori del mare, che lavorano per le compagnie di navigazione di tutto il mondo. Marittimi che per questo sono esposti al rischio pirateria marittima. Una stima per difetto ritiene che siano almeno il 10 percento del totale dei marittimi gli indiani che fanno parte degli equipaggi dei mercantili in giro nei mari del mondo. Continuare nella sua ostinata, e isolata, lotta ai pirati somali voleva dire per l’India esporre a ritorsioni i propri connazionali se catturati dai predoni del mare. Tra i prigionieri in Somalia, ci sono anche 11 marittimi italiani. Si tratta di parte dei membri degli equipaggi di due navi italiane, ‘Savina Caylyn’ e ‘Rosalia D’Amato’cadute nelle mani dei pirati somali rispettivamente l’8 febbraio e il 21 aprile scorsi. Ovviamente il loro sequestro si consuma nel silenzio più assordante. Da troppi giorni ormai, i telefoni di bordo squillano, ma nessuno risponde.

Ferdinando Pelliccia


 

                 03-07-2011

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