Sullo shipping il Governo italiano è fermo, l’Europa no

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di Remo Di Fiore
Componente a nome della Fit-Cisl dell’Esecutivo Itf

 

Come è facile comprendere, il mondo dello shipping è in continuo movimento da vari punti di vista. Ciò si spiega con il fatto che gli armatori, attraverso il diritto fondante dell’Unione europea, ovvero quello di stabilimento, possono cambiare facilmente il paese ove stabilire la propria attività, andando alla ricerca di situazioni a loro sempre più favorevoli dal punto di vista dell’economia aziendale, al fine anche di reggere la concorrenza a livello mondiale.

Quest’ultima, vista per esempio la guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina, che naturalmente coinvolge anche l’economia europea, non permette agli armatori di avere una visione chiara sugli assetti futuri del mercato e quindi di programmare linee, servizi e nuove rotte.

All’interno dell’Europa vi sono due situazioni collegate al meccanismo dei registri internazionali su cui è bene riflettere; infatti, a differenza di quanto avviene in Italia sulla legge 30/98, da parte di alcuni soggetti che premono per regole più stringenti, in altri paesi, Francia e Danimarca, si sta lavorando per modificare la normativa e muoversi in senso opposto.

Senza voler qui rifare la storia dei secondi registri, ricordiamo che essi sono nati per arrestare la fuga verso bandiere di convenienza, creando condizioni favorevoli ed appetibili per gli armatori. Infatti, non vi è nessuna regola internazionale che vieti a un armatore di cambiare bandiera alle proprie navi. Non dobbiamo dimenticare che ciò può avvenire nel giro di pochi giorni. A favore degli armatori, a parte tassazione più favorevole, burocrazia più snella e via discorrendo, vi è la possibilità di imbarcare personale a basso costo, ben sapendo che ciò avviene a scapito dell’occupazione nazionale.

In questo campo la posizione del sindacato è molto difficile, dovendo noi difendere al meglio l’occupazione. Se al limite si potesse imporre la totalità dell’equipaggio formata da nazionali,  l’armatore immediatamente cambierebbe bandiera dirigendosi verso un paese che offra condizioni più favorevoli e quindi costi più bassi dei running costs della nave. Per questo il sindacato è chiamato a cercare soluzioni che da un lato non spingano alla fuga l’armatore e dall’altro proteggano il più possibile l’occupazione nazionale.

A dimostrazione di quanto oggi gli armatori siano motivati al contenimento dei costi attraverso personale proveniente da paesi in via di sviluppo e come questi lavoratori siano in continuo aumento sulle navi nel mondo, citiamo l’India.

Negli ultimi quattro anni i marittimi indiani sono aumentati del 40% e sono passati da un totale di 108.446 nel 2013 a 154.349 nel 2017. Attualmente l’India al trasporto marittimo mondiale fornisce il 9,35% del personale e in questo senso si colloca al terzo posto dopo Filippine e Indonesia.

Tornando ai due registri internazionali sotto osservazione, quello danese (Dis) nel 2018 ha visto un incremento nel tonnellaggio del 26%: è cresciuto molto di più del registro di Taiwan (+21%) e di quello Belga (+12%). A novembre del 2018 il numero delle navi iscritte nel Dis era di 708 ed è previsto che cresca ancora. Negli ultimi tre mesi, l’autorità marittima danese ha ricevuto richieste di impiego di personale straniero per 24 navi; attualmente il governo danese sta lavorando per eliminare le tasse di registrazione e preparare un sistema di tassazione ancora più favorevole. Questo registro, nato in origine per rispondere alle esigenze di competitività agli armatori danesi, oggi ha deciso di aprirsi a un mercato più alto richiamando navi straniere dai vari paesi marittimi del mondo.

Sono interessanti anche gli avvenimenti che riguardano il registro internazionale francese (Rif); anche lì si sta lavorando per richiamare navi, in particolari quelle che attualmente sono iscritte nel registro britannico. Il grosso movimento è spinto dalla compagnia francese Cma Cgm, che attualmente sta trasferendo 52 navi di bandiera inglese verso il Rif francese. Va ricordato che la suddetta compagnia attualmente possiede 500 navi portacontainer e ha in corso un confronto con il governo francese per ricercare ulteriori benefici al cambio di bandiera.

Alla base di questi trasferimenti vi è anche l’incertezza legata alla Brexit, che per esempio ha spinto P&O Ferries, che gestisce traghetti su cabotaggio, a iscrivere le proprie navi nel registro di Cipro.

Per quanto riguarda l’Italia, dicevamo che la tendenza è opposta. Infatti, siamo passati da 784 navi nel 2014 a 611 nel 2018.

Quali saranno i trasporti futuri, in particolare quello europeo, non ci è dato di conoscere con certezza. È certo però che, se la tendenza è quella di una competitività ancora più spinta, è giunto il momento di evitare rispetto al nostro registro internazionale posizioni che possono sembrare giuste, ma rischiose dal punto di vista della competitività.

In Italia manca una visione seria sul trasporto marittimo, anche se per quella via entrano ed escono l’80% delle merci del nostro Paese, che - lo ricordiamo - avendo un’economia di trasformazione ha più di altri l’esigenza di controllare il proprio traffico marittimo. Sono lontani i tempi in cui tutti i problemi erano affrontati in maniera prioritaria. Da allora, dopo aver inglobato il Ministero della Marina mercantile in quello dei Trasporti, tutta la partita del trasporto marittimo sembra trattata come se fosse di secondo piano.

Altri paesi invece si muovono in maniera opposta, a partire dal Regno Unito che ha preparato un corposo documento di 300 pagine prefigurando, da qui al 2050, quello che sarà il trasporto marittimo in quello Stato.

Ci preme sottolineare che nella approfondita discussione britannica è stato sentito anche il sindacato, in maniera da creare sul progetto il più ampio consenso possibile. Questo documento del governo inglese ha sviluppato sette temi e più precisamente la tecnologia, il commercio, l’ambiente, Il personale, le infrastrutture, la sicurezza e la competitività della flotta. Per il tema del personale marittimo, è stata creta una commissione specifica di esperti che dovrà preparare un primo rapporto entro cinque anni, con riferimento all’esigenza di nuova professionalità  e formazione. Questo gruppo di lavoro si occuperà anche dell’allineamento continuo dello sviluppo delle tecnologie e del personale, ma una parte del lavoro sarà dedicata anche al welfare.

Ciò avviene in un paese che traguarda il futuro del trasporto marittimo con strategie di lungo respiro ben lontane dalle piccole quotidianità che invece stiamo affrontando in Italia. Occorre un rapido cambio di passo, con il coinvolgimento dei sindacati. Non ci stancheremo di chiedere al Governo di aprire un tavolo in questo senso: il trasporto marittimo italiano è strategico e non possiamo permetterci di trascurarlo ulteriormente.

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