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Mare & lavoro/ Il governo Conte si è accorto che in Italia esiste un comparto marittimo?

di Nicola Silenti

L’armatore Vincenzo Onorato ha lanciato una petizione in difesa del lavoro marittimo italiano, chiedendo pieno sostegno alla sua istanza per un irrobustimento delle agevolazioni dello Stato per le navi che imbarcano personale italiano o comunque comunitario, controlli più scrupolosi del personale extracomunitario imbarcato su navi italiane in servizio internazionale e l’imposizione di standard di formazione finalmente verificabili per tutti. Il vero motivo all’origine della petizione sarebbe la battaglia che da anni lo vede impegnato in prima fila nella strenua difesa dell’occupazione dei marittimi italiani, togliendo il velo su una pratica scorretta assai diffusa nel mondo armatoriale ossia l’impiego di manovalanza extracomunitaria a basso costo a bordo delle navi italiane, godendo di un regime di agevolazioni fiscali percepito senza averne diritto in barba alla sorte dei marittimi italiani.

E’noto a tutti che il vero tema cruciale al centro del presente e del futuro del comparto marittimo italiano sia proprio quello dell’occupazione, vero assillo e tormento per migliaia di famiglie che da tempo, inascoltate, reclamano da imprese e istituzioni una maggiore attenzione. Di certo a nessuno può sfuggire la necessità ormai inderogabile di aggiornare se non addirittura di reinterpretare le regole d’imbarco dei lavoratori sulle navi impegnate nel cabotaggio nazionale, ponendo finalmente attenzione alla salvaguardia dei lavoratori italiani: lavoratori che non hanno certo bisogno di tutele o attenzioni “protezionistiche”, ma che al contrario, forti di una tradizione e di una preparazione indiscusse, sarebbero i primi a uscire vincenti da un confronto con i concorrenti internazionali giocato ad armi pari con le regole del libero mercato e non sotto l’eterno ricatto del caos al ribasso delle buste paga e dell’irrilevanza della qualità dei titoli e delle competenze del personale imbarcato.

L’impressione è che ormai i tempi siano maturi perché ognuno, tra istituzioni, uomini di governo e aziende della blue economy prenda posizione in quello che è un conflitto che vede schierati da una parte coloro che pretendono detrazioni fiscali e incentivi per le compagnie italiane a prescindere dalla nazionalità del personale di bordo, e dall’altra chi, come il patron del gruppo Moby – Tirrenia, esige con forza che a essere premiate siano soltanto le compagnie che imbarcano personale italiano e comunitario. Una spaccatura profonda e forse insanabile, sfociata nella rottura “istituzionale” di Vincenzo Onorato con la Confederazione italiana degli armatori Confitarma, abbandonata in modo fragoroso con una lettera pubblica di denuncia proprio contro l’estensione degli sgravi fiscali previsti per la bandiera italiana anche alle compagnie che imbarcano lavoratori marittimi extracomunitari: una pratica, quella dell’impiego di manodopera non comunitaria, che troppo spesso ha significato l’impiego massiccio di personale non qualificato e sottopagato e comunque a un costo assai inferiore di quello italiano e quindi una concorrenza insostenibile a tutto discapito dei lavoratori dello Stivale.

Il vero nocciolo della questione, ossia come tutelare e rilanciare l’occupazione in uno dei settori trainanti dell’economia nazionale è invogliare le aziende a superare il ricorso a pratiche scorrette e strumenti non ortodossi come l’uso e l’abuso di manodopera non qualificata a detrimento della qualità della flotta italiana e dei servizi offerti da tutto il comparto. Una questione sinora irrisolta, ma che minaccia di incombere con la forza di un macigno sul tavolo del governo Conte, chiamato a trovare risposte e soluzioni a una faccenda sinora mai nemmeno sfiorata dai predecessori.

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