MARITTIMI IN MANO
AI PIRATI....COME PER MAGIA SE NE RIPARLA
A bordo
della
superpetroliera
italiana
5
italiani.
Lavoratori
del mare
che ora
sono
ancora,
dopo
tanto
tempo,
in balìa
dei
pirati
somali.
Con loro
sono
trattenuti
in
ostaggio,
tenuti
come
animali
in
gabbia,
anche 17
marittimi
indiani.
Non
bisogna
dimenticarsi
anche di
loro.
Come per
una
strana
magia,
dopo 53
giorni
di black
out,
oggi si
è
tornati
a
parlare
della
Savina
Caylyn.
La nave
è stata
sequestrata
dai
pirati
somali
al largo
della
Somalia
l'8
febbraio
scorso.
A bordo
della
superpetroliera
italiana
5
italiani.
Lavoratori
del mare
che ora
sono
ancora,
dopo
tanto
tempo,
in balìa
dei
pirati
somali.
Questi
italiani
sono: il
comandante,
Giuseppe
Lubrano
Lavadera
campano
di
Procida,
il terzo
ufficiale
di
coperta,
Crescenzo
Guardascione
campano
di
Procida,
l’allievo
di
coperta,
Gianmaria
Cesaro
campano
di Piano
di
Sorrento,
il
direttore
di
macchine,
Antonio
Verrecchia
laziale
di
Gaeta,
l’ufficiale
Eugenio
Bon, di
Trieste.
Quest’ultimo
ha
‘festeggiato’
il suo
trentesimo
compleanno
in
prigionia
lo
scorso
30
aprile.
Con loro
sono
trattenuti
in
ostaggio,
tenuti
come
animali
in
gabbia,
anche 17
marittimi
indiani.
Non
bisogna
dimenticarsi
anche di
loro.
Sono
tutti
degli
esseri
umani,
tutti
lavoratori
del
mare.
Essi non
sono di
certo
dei
soldati
e non
vanno
per i
mari a
combattere
una
guerra e
pertanto,
non sono
preparati
a
sopportare
le
angherie
e le
privazioni
che
invece,
ora
stanno
subendo
dopo
essere
caduti
nelle
mani dei
pirati
somali.
“Siamo
come
Robinson
Crusoe.
Ci hanno
dato una
lenza e
ci tocca
pescare
il cibo
in
mare”,
raccontava
tempo fa
al
telefono
ai suoi
familiari
in
Italia
Eugenio
Bon. La
posizione
degli
indiani
è ancora
più
tragica
degli
italiani
in
quanto
l'India
è stato
uno dei
più
attivi e
aggressivi
Paesi
nella
lotta al
fenomeno
della
pirateria
marittima.
Le
navi
da
guerra
di
New
Delhi
hanno
perseguitato
i pirati
in lungo
e in
largo
nel mare
dei
pirati e
fino
anche
alla
costa. A
centinaia
i pirati
somali
sono
stati
catturati
e
portati
in
prigione.
Una
battaglia,
quella
dell’India,
tutta in
solitario
in
quanto
nessun’altro
Paese si
è
associato
a questa
energica
azione
di
contrasto
che
sembrava
vincente.
Alla
fine, il
governo
indiano
ha
dovuto
alzare
le mani
di
fronte
al fatto
che i
predoni
del mare
una
volta
preso
atto di
ciò
hanno
cominciato
a
rivalesi
sui
cittadini
indiani
che
erano
marittimi
a bordo
delle
navi
catturate.
Un
episodio
che
dovrebbe
far
meditare
in
quanto
si
capisce
che
forse
non c’è
volontà
a
chiudere
la
partita
con le
poche
migliaia
di
somali
che si
sono
dedicati
alla
pirateria
nel mare
del
Corno
D’Africa.
Un fatto
è certo.
Il giro
d’affari
internazionale
che
ruota
intorno
al
fenomeno
della
pirateria
marittima
è
vastissimo.
Un mare
di verdi
bigliettoni
scorre
nel mare
dei
pirati e
a cui
vogliono
attingere
in
tanti.
Come
prima
conseguenza
sono
lievitati
fortemente
i costi
di
spedizione.
Inoltre,
le
compagnie
assicuratrici
hanno
fortemente
aumentato
i
premi
assicurativi.
Premi
che gli
armatori
accettano
di buon
grado
perché
restano
comunque
più
convenienti
del
seguire
altre
rotte
per
evitare
i pirati
compiendo
giri più
larghi e
lunghi.
Questo
lo sanno
bene gli
assicuratori
che
mantengono
i premi
assicurativi
entro
certi
limiti
comunque
vantaggiosi
per
loro. I
premi
pagati
restano
sempre
inferiori
ai
riscatti
pagati.
. Eppure
paragonando
i costi
in
riscatti
della
pirateria,
250-300
mln di
dollari
all’anno,
e i
costi
per le
indennità
di
assicurazione,
per le
operazioni
navali
militari,
i
procedimenti
giudiziari
e i
maggiori
costi
derivanti
dalla
necessità
di
trovare
nuove
rotte
per le
navi per
evitare
le zone
a
rischio,
7-12 mld
l’anno,
a conti
fatti
converrebbe
più
lasciare
lavorare
i pirati
in
tranquillità
che ‘infastidirli’.
Come del
resto
avviene
nel mare
dell’Africa
occidentale
dove al
largo
della
Nigeria
un
sequestro
di una
nave al
massimo
dura 5
giorni.
Purtroppo
però,
prevale
una
sterile
ostinazione
a
contrastarli.
Dopo
giusto
due mesi
rispuntano
le foto
in B/n
di
alcuni
dei
marittimi
della
Savina
Caylyn.
Foto
inviate
il 9
giugno
scorso
per fax
dai
pirati
somali
ai loro
familiari
in
Italia.
Si
tratta
di
‘normalissime’
foto in
cui si
intravedono
alcuni
pirati
somali,
armati
fino ai
denti, e
come
potrebbe
essere
diversamente,
che
guardano
a vista
i loro
‘preziosi’
ostaggi
europei.
Merce
preziosa
in
quanto
sanno
bene che
i loro
governi
e le
loro
compagnie
marittime
prima o
poi
pagheranno
dopo
aver
tergiversato
inutilmente
anche
per
mesi.
Quella
di
mostrare
i
marittimi
in
prigionia
fa parte
delle
tattiche
adottata
dai
predoni
del mare
per fare
pressioni
sulle
famiglie
degli
ostaggi
affinchè
spingano
chi deve
farlo a
pagare
il
riscatto
richiesto.
Per la
nave
italiana
la gang
del mare
ha
chiesto
16 mln
di
dollari.
Altra
tattica
seguita
dai
banditi
del
mare.
Prima
chiedono
grosse
cifre e
poi
fingono
di
accettare
le
trattative
e di
accontentarsi
in
genere
della
metà.
Del
resto è
nell’indole
dell’africano
di
mercanteggiare
prima di
cedere
nella
vendita.
Tutti
quelli
che
seguono
questo
fenomeno
sanno
bene che
sono
scenari
da
incubo
quelli
che
aspettano
i
marittimi
che
cadono
ostaggi
dei
pirati
somali.
I
predoni
del mare
una
volta
catturata
la nave
l’affidano
in
custodia
ad altri
predoni-guardiani,
esistono
nelle
gang del
mare
varie
figure
criminali
a cui
vanno
associati
degli
specifici
compiti,
che
vanno a
viverci
a bordo
insieme
ai
marittimi-ostaggi.
Una
promiscuità
forzata
che
conduce
ovviamente
anche a
situazioni
esasperanti
che
nascono
soprattutto
dal
prolungasi
del
sequestro.
Per cui
meno
dura la
prigionia
e meglio
è per
gli
ostaggi!
Inoltre,
grava
sul
tutto
anche il
fatto
che i
somali
sono
dediti a
consumare
grandi
quantità
di khat,
foglie
euforizzante
che
masticano
di
continuo,
e a bere
alcoolici.
Una
miscela
esplosiva
che
trasforma
la
prigionia
dei
marittimi
catturati
in un
vero
INFERNO.
E’ certo
che i
sequestratori
sfogano
la loro
ferocia
e
frustrazioni,
in fondo
è come
se
fossero
anche
loro
prigionieri,
sui
poveri
ostaggi
con
vessazioni
di ogni
genere.
L'esperienza
segna
anima,
mente e
corpo
dei
marittimi.
Se ne ha
testimonianza
dal
racconto
fatto,
al loro
ritorno
in
Patria,
dai
marittimi
italiani
del
rimorchiatore
d’altura
‘Buccaneer’.
La nave
italiana
insieme
al suo
equipaggio
di 16
marittimi
venne
tenuta
in
ostaggio
per
quasi 4
mesi dai
pirati
somali,
allora
un
record
per le
navi
italiane,
dall’11
aprile
al 9
agosto
2009. A
bordo vi
erano 10
marittimi
italiani
che
hanno
vissuto
una
terribile
esperienza
che ha
segnato
la vita
di molti
di loro
e dei
loro
familiari.
Allora
vennero
lasciati
soli
dallo
Stato
italiano
e ancor
peggio
anche
dopo
sono
stati
lasciati
soli ad
affrontare
i
‘fantasmi’
della
loro
prigionia.
Tra essi
ironia
della
sorte
ancora
dei
campani.
Erano in
tre, i
marittimi
Bernardo
Borrelli,
Vincenzo
Montella,
Giovanni
Vollaro.
Oggi
poi,
sempre
come per
magia,
in una
nota
della
Farnesina
si
legge:
“Il
Ministero
degli
Esteri,
attraverso
l’Unità
di Crisi
è
impegnato
nel
seguire
la
vicenda
del
sequestro
della
petroliera
“Savina
Caylyn”
di
proprietà
della
compagnia
armatrice
“Fratelli
D’Amato
S.p.A,
fin
dallo
scorso 8
febbraio,
giorno
in cui
la nave
è stata
attaccata
e
dirottata
da
pirati”.
Sarebbe
bello
che il
Signor
Ministro
Frattini
o chi
per lui,
spiegasse
quali
siano
gli
strumenti
operativi
di cui
si
stanno
servendo
per
affrontare
e
risolvere
la
questione.
Inoltre,
ha il
sapore
del fumo
negli
occhi
l’attività
politico-diplomatica
che la
Farnesina
sbandiera.
E chiaro
che
l’Inviato
Speciale
del
Ministro
Frattini
per le
Emergenze
Umanitarie,
Margherita
Boniver
non
poteva
più
recarsi
nella
regione
somala
semiautonoma
del
Puntland
dopo
aver
accusato
apertamente
e anche
minacciato,
nel
2009,
anno del
sequestro
del
Buccaneer,
il
Presidente
Fahore
di
complicità
con i
pirati
somali.
In
questo
modo
l’Italia
perdeva
un utile
alleato
riconosciuto
da tanti
come
nemico
dei
pirati.
A
riprova
il fatto
che
Fahore
non
parteciperà
nemmeno
all’incontro
internazionale
sulla
pirateria
del
giugno
2009,
pochi
mesi
dopo, a
Roma.
Per cui
nella
sua
recente
missione
diplomatica
la
signora
Boniver
ha
parlato
con
tutti,
ma non
con le
persone
giuste.
Insomma
ha perso
tempo e
denaro.
A
dimostrazione
di ciò.
Poche
settimane
dopo si
è dovuto
recare
nel
Puntland
il
Sottosegretario
agli
Affari
Esteri,
Alfredo
Mantica.
Il
Senatore
Mantica
ha
incontrato
Fahore,
forse
promesso
mari e
monti,
ma è
tornato
con un
pugno di
mosche.
Forse se
fossero
giunte
invece,
delle
scuse
chissà!
Per cui
le
parole
della
odierna
nota
della
Farnesina
suonano
con
sterili
parole,
un
format
già
letto.
Quando
venne
‘preso’
il
Buccaneer
la
‘famosa’
unità di
Crisi
della
Farnesina
non
aveva
alcuna
idea del
come
affrontare
la
questione
che
venne
gestita
attraverso
canali
non
convenzionali,
affidandosi
a
intermediari
che in
alcuni
casi non
ebbero
scrupoli
a
sparire
con il
bottino.
Alla
fine la
nave
venne
liberata,
ma solo
dopo il
pagamento
di un
riscatto.
Anche
allora
la
Farnesina
impose
il
silenzio
stampa
giustificandolo
dalla
necessità
di
riservatezza
sulle
operazioni
in corso
e sulle
iniziative
che
s'intendano
assumere
per la
soluzione
della
delicata
vicenda.
Ed
invece,
era solo
un modo
per
camuffare
la loro
incapacità
a
trovare
sul
posto
contatti
sicuri
con i
pirati
somali .
Solo
dopo
aver
attivato
diversi
canali e
speso un
bel po’
di
dollari
ci
riuscirono.
In
cambio
del
Buccaneer
ed
equipaggio
hanno
dovuto
rilasciare
qualche
pirata
somalo,
ospite
nelle
prigioni
somale,
e
sganciare
diversi
milioni
di
dollari.
Sono 4
quelli
andati
ai
pirati
somali,
chiusi
in 4
sacche
cellofanate
e
consegnati
in mare
dai
nostri
militari.
Altri
sono
andati
ad
ambigui
intermediari
e
presunti
funzionari
del
governo
somalo.
Ed ora
la
storia
si
ripete.
Con la
sola
differenza
che nel
2009 si
trattava
di poco
più di
una
barchetta,
ed ora è
una
superpetroliera
quella
che oggi
i pirati
somali
trattengo
in
ostaggio
in
attesa
che la
società
armatrice
o il
governo
italiano,
paghino
un
riscatto
per il
suo
rilascio.
Un
riscatto
che
qualcuno
pagherà,
eccome
se
pagherà!
Ufficialmente
l'Italia,
come
molti
altri
Paesi,
ha
scelto
di
affrontare
l'emergenza
pirateria
marittima
con i
metodi
della
trattativa
diplomatica.
Però,
non è
mai
successo
che i
pirati
abbiano
rilasciato
una nave
senza
ottenerne
in
cambio
il
pagamento
di un
riscatto.
Attualmente
i
predoni
del mare
trattengono
in
ostaggio
almeno
700
marittimi.
Si
tratta
di
marinai
di
diversa
nazionalità
tra cui
filippini,
ucraini,
pakistani,
rumeni,
indiani,
egiziani,
cinesi,
cingalesi
e
europei.
Molti di
loro
sono in
mano ai
pirati
anche da
anni
perché
nessuno
paga per
riaverli
indietro.
Ferdinando
Pelliccia